Bersani: un Uomo che pensava in grande

Bersani era mosso da grandi ideali cui univa una altrettanto elevata lungimiranza di pensiero. Era uno statista. Non amministrava l’oggi, guardava da qui a vent’anni”, dice la sorella Antonietta. L’obiettivo ambizioso del riscatto degli ultimi lo spinse alla ricerca di strumenti capaci di dare una base di sostegno adeguata, quali l’azione politico-legislativa e le strutture organizzative idonee a realizzare in concreto i progetti di riscatto, che potevano essere i braccianti o i mezzadri dell’agricoltura post-bellica in Italia come i poveri contadini dei villaggi africani condannati per tutta la vita ad una agricoltura di pura sussistenza. Con questo obiettivo si mise in politica fin dal primo dopoguerra, entrando nel primo parlamento italiano nel 1948 ed in quello europeo nel 1960, parlamenti nei quali restò per lunghi anni. Consapevole di coltivare un progetto così ambizioso, finita la guerra partì da solo per un viaggio in Europa per documentarsi dei progressi fatti sul fronte che a lui interessava dell’agricoltura e della cooperazione, così da poter dare fondamenta solide alla sua incipiente attività legislativa. Ne ricavò importanti insegnamenti per le sue proposte nel parlamento italiano, dove fu protagonista del varo di leggi di vastissima portata come le leggi sulla proprietà contadina (riscatto delle terre) e sull’apprendistato (preparazione dei giovani contadini al grande salto nel mondo dell’industria). Si fece inoltre promotore sia in Italia che nel parlamento europeo della legge sulla cooperazione internazionale che diede avvio ad un approccio positivo della Unione Europea verso una politica di sviluppo dei Paesi Poveri.

La sua peculiare caratteristica di progettare guardando lontano risultò particolarmente efficace in ambito europeo nel delicatissimo settore della politica estera. Quando arrivò Bersani l’Unione Europea mancava di qualsiasi dimensione di politica estera. Le iniziative in atto non andavano oltre l’aspetto “riparatorio” che le potenze ex coloniali (in particolare Inghilterra, Francia, Italia, Belgio) avevano avviato con i paesi già occupati. Bersani capì subito la straordinaria opportunità che si apriva all’Europa per tracciare percorsi innovativi nelle relazioni internazionali, ed in particolare con i paesi già colonie africane: promosse quindi una rete capillare di relazioni anche personali mirate a creare un rapporto di fiducia che aprisse la strada a interventi di cooperazione internazionale e di aiuti allo sviluppo. Non quindi “riparazione”, ma “costruzione insieme” di un rapporto nuovo di amicizia e collaborazione e di un avvicinamento tra i relativi popoli.

Bersani fu per questo definito il Kissinger europeo, come da testimonianza resa in Commissione Esteri del Senato in occasione della cerimonia celebrativa a lui dedicata il 6 gennaio 2015. Fedele sempre al binomio ideale-azione, quando uscì nel 1967 l’enciclica di Papa Paolo VI “Populorum Progressio” che concludeva “Sviluppo è il nuovo nome della pace “, dopo la consueta lettura collegiale, Bersani ed i suoi amici decisero insieme che occorreva dar vita ad un organismo che potesse promuovere culturalmente ed operativamente gli auspicati progetti di cooperazione internazionale, impliciti nel nuovo messaggio papale. Così nel 1972 nacque il CEFA, la cui missione prioritaria è quella di progettare e realizzare programmi di auto-sviluppo per il riscatto delle popolazioni povere del mondo a cominciare da quelle dei villaggi rurali in condizioni di estrema povertà.

L’auto-sviluppo è di per se stesso un obiettivo di lungo termine che esige la realizzazione non di un solo intervento ma di lunghi programmi integrati di opere: pareva quindi un obiettivo utopico, rapportato ai modelli correnti di interventi di breve o medio termine. Il prospettarlo fu un esempio di coraggio e di visione di lungo periodo che sarebbe risultata vincente. Risale anche a quegli anni la costituzione in ambito europeo della Assemblea parlamentare paritetica CEE-ACP, che periodicamente tuttora si riunisce nella Conferenza di Lomé, capitale del Togo. Nel 1989, a conclusione del suo mandato europeo e della Presidenza dell’Assemblea (ben 13 anni) Bersani si fece promotore con il premier egiziano Abdallah di una Conferenza Euromediterranea, che si chiuse con una mozione, da lui stesso scritta, che concludeva così:

Gli studi più accreditati sul problema della immigrazione dal sud verso il nord mostrano che essa è destinata a crescere in termini sempre più consistenti. L’entità dei futuri flussi è chiaramente prevedibile. Se non vi sarà un grande impegno comune, con adeguati aiuti dell’Unione Europea e un idoneo utilizzo da parte dei paesi della riva sud delle straordinarie risorse provenienti dalla vendita dei loro prodotti energetici (petrolio, gas…) la situazione arriverà, tra venti anni, ad una crisi molto seria e, alcuni anni dopo [sono quelli che stiamo vivendo – n.d.r.], senza sostanziali cambiamenti, diverrà difficilmente controllabile.

Intuizioni precise che confermano la lungimiranza di Bersani anche nel prevedere gli scenari strategici.