Relazione del Rettore Ivano Dionigi

Mi fa piacere prendere la parola in questa occasione non solo per un motivo – per così dire istituzionale e ufficiale – ma anche perché mi riconosco nell’idea e nell’idealità che ha ispirato l’opera e l’azione di Giovanni Bersani e più in generale perché credo che una tale opera e azione richieda la responsabilità dell’erede, vale a dire l’adesione alla concezione secondo la quale la vita individuale e collettiva non tollera cesure e discontinuità ma si basa sulla trasmissione della fiaccola di generazione in generazione: vale a dire sulla tradizione che – come è stato detto – non è la venerazione delle ceneri ma la salvaguardia del fuoco; sulla convinzione che di quel capitale che chiamiamo vita le azioni le detengono non solo i viventi, ma anche i trapassati e i nascituri.

Ri-cordare Giovanni Bersani vuol dire non solo riportarlo al nostro cuore e fare memoria di lui ma anche parlare di noi.

  1. I valori di Bersani

Sono valori che rimandano a parole universali e assolute, indivise e indivisibili: e che stanno insieme e si richiamano, come dignità e lavoro. Come concepire l’una senza l’altra? La dignità senza lavoro e viceversa? Al pari di dignità e lavoro, stanno insieme e si richiamano anche parole come giustizia e bene comune: le sue parole privilegiate.

  1. Gli strumenti di Bersani

Portano il nome della competenza, di quell’etica della competenza che rifugge dall’improvvisazione e dal dilettantismo e conosce la strada faticosa e impervia del legiferare, cioè del distinguere, mediare, scegliere.

Portano il nome della politica, l’arte più nobile e più difficile perché deve comporre la difficile bellezza dello stare insieme, nella città e nel mondo.

Portano il nome della cultura, vale a dire la visione che mostra lo scopo (il telos) delle nostre azioni, e quel dialogo che mette in relazione il particolare col generale, la parte col tutto, il singolo con l’insieme. Dalle cooperative contadine della Bassa all’impegno per i popoli dell’Africa.

  1. I fondamenti di Bersani

La sua opera e azione aveva come fondamento la dottrina sociale cristiana e come bussola l’idea di persona: dottrina sciale e personalismo cristiano sviluppato e approfondito in vari documenti ufficiali della Chiesa e nella riflessone di pensatori, a cominciare da Maritain.

Questi valori, strumenti, fondamenti fanno di Bersani non solo un filantropo e un innovatore ma anche un grande politico e un gigante morale, che teneva insieme la parola e l’azione, la vita personale e la vita politica. Come pensare di poter dividere in Bersani l’uomo dal politico? Una figura esemplare, un testimone che ha saldato la terra al cielo.

Questo racconto ora parla a noi e di noi.

Le domande a questo punto si accavallano e ci incalzano.

Che ne è oggi – per restare a quei valori – della dignità? Ridotta a un decreto governativo. E del lavoro che non c’è ed è negato ai giovani dei quali tutti se ne fregano? Bersani con la legge 25, disciplinando l’apprendistato ha fatto tantissimo nel 1953 per i giovani di allora. Un Paese, il nostro, benedettamente ricco di talenti e maledettamente incurante di essi! Che ne è della giustizia, parola assente nel nostro lessico? E della parola comune, dal significato sublime: perché da cum + munus significa condividere con gli altri la propria funzione, la propria prerogativa, il proprio dono?

Che ne è oggi – per dire di quegli strumenti – della competenza, ritenuta quasi un optional, un orpello o un ostacolo alla politica?

E – per dire dei fondamenti dell’azione di Bersani – che fine ha fatto la dottrina sociale della chiesa? E il messaggio del Vangelo?

Se ce la passiamo male in Italia e in Europa è anche perché la grande tradizione cattolica e cristiana – che insieme alla tradizione socialista e liberale ha sia ricostruito l’Europa sia redatto la nostra Costituzione – quella grande tradizione è in via di estinzione.

Come in via di estinzione è la testimonianza dei credenti: l’unica che, secondo il Vangelo, può cambiare il mondo; perché prima di convertire gli altri bisogna convertire se stessi.

Se tutti hanno una responsabilità nella cosa pubblica, coloro che credono al e nel Vangelo e si dicono cristiani (e magari vanno in chiesa a pregare e anche a fare la comunione), ebbene costoro ne hanno una supplementare: fare con le azioni quello che dicono con le parole.

Si chiama coerenza. Quella che ha caratterizzato tutta l’esistenza del nostro caro e amato Bersani.

Ivano Dionigi

Relazione del Magnifico Rettore Francesco Ubertini

Buonasera,

purtroppo non ho mai conosciuto direttamente il senatore Giovanni Bersani e posso solo molto essenzialmente indicare quanto di riflesso mi è arrivato in questi anni dalla sua incredibile personalità di uomo politico e di uomo impegnato su diversi fronti per la cosa pubblica.

Il nostro ateneo, come poi diranno i miei predecessori, ha avuto l’onore di consegnare a Bersani due importanti onorificenze, la laurea ad honorem nel 2000 e il Sigillum Magnum nel 2014. Si tratta di due riconoscimenti che hanno legato l’attività di Bersani a quella della comunità universitaria, facendo di lui una parte essenziale della vita di questa città.

Voglio ricordare che il discorso di Bersani in occasione della laurea ad honorem in Agraria fu un discorso molto sobrio dove il problema delle risorse alimentari e dell’agricoltura nei paesi in via di sviluppo veniva analizzato con dati essenziali, ma ponendo domande secche ed esplicite sugli errori fatti e sulle possibili soluzioni future. Bersani non aveva nessun timore di far riferimento alla propria esperienza personale quando era necessario spiegare eventuali falle nel sistema. E spiegava il suo incontro di tre anni prima con il nuovo presidente della Banca Mondiale, venuto a Roma per incontrare le ONG in vista della cooperazione allo sviluppo. “La ringrazio per essere venuto – dice Bersani – e aggiunge: “il suo discorso è del tutto inutile. Lo statuto della Banca Mondiale prevede di dare aiuti solo ai governi e noi siamo non governativi”.

Immagino l’imbarazzo. Ma l’esempio dice bene di come fosse determinato, diretto, schietto quest’uomo che ha navigato nella politica italiana per decenni e che sempre nel suo discorso di riconosce all’interno di una corrente di “umanesimo cristiano”.

Quando ci troviamo di fronte a personalità come questa inevitabilmente cadiamo nella tentazione di misurarle sul nostro presente. Uomini come Bersani non si trovano molto di frequente nella storia di questo Paese. Li circonda qualcosa che unisce la rettitudine, il forte senso civico, la incredibile energia nel fare, la determinazione del pensiero. E nel rimpiangerli possiamo solo essere fieri dell’importanza che la città di Bologna ha avuto nell’esprimere personalità che hanno agito sulla vita della nazione ed in ambito internazionale.

Testimonianza 21 aprile in Piazza San Pietro (Roma) – Intervento di Gianpietro Monfardini

  “E’ necessario togliere centralità alla legge del profitto e assegnarla alla persona e al bene comune” così ha detto Papa Francesco ai rappresentanti  del mondo del lavoro:  Imprenditori, Sindacati, Cooperative riuniti in Piazza Maggiore a Bologna.

Una Bologna per antica tradizione ben attrezzata per accogliere questa sollecitazione, fino a spingere il Papa a parlare di un vero e proprio “Sistema Emilia” e di un “Umanesimo” che vi si respira.

E’ un sistema di dialogo aperto ma costruttivo tra le parti sociali che pur nel rispetto dei  relativi ruoli hanno sempre avuto come obiettivo il bene comune, e con buoni risultati se si considera l’elevato livello di occupazione, anche giovanile, ed il richiamo esercitato all’estero dal suo territorio per l’insediamento di nuove  attività industriali.

 

A darne conferma, in questi giorni è diventato operativo il  “Patto per il Lavoro”,  fondo anticrisi promosso da Comune e Curia di Bologna per il sostegno a disoccupati e persone in difficoltà.

Una coesione sociale cui ha contribuito in gran parte a Bologna l’esperienza cooperativa.

Questo ci porta a ricordare con gratitudine un grande testimone bolognese  del cattolicesimo sociale, il compianto Sen. Giovanni Bersani, che nel primo dopoguerra promosse il modello cooperativo prodigandosi  a fondo  sul piano sia politico che personale.

Considerava quel modello il più coerente con la Dottrina Sociale della Chiesa.

Non si possono dimenticare le sere di fine settimana quando, di ritorno dai lavori del Parlamento, si tratteneva a discutere fino a tarda notte con gruppi di poveri braccianti  senza più lavoro per convincerli a costituirsi in cooperative di conduzione  agricola dove avrebbero ritrovato una dignità perduta.

Molte di quelle cooperative da lui create sono tuttora attive, di piccole e grandi dimensioni, veri gioielli allo stesso tempo sociali e produttivi, messi insieme tra mille difficoltà, che dobbiamo difendere dal furto di posti di lavoro che avviene oggi sotto i nostri occhi con le piraterie finanziarie dei puri ricercatori del profitto.

In merito lo  stesso Papa Francesco ha voluto ricordare a Bologna – sono sue parole- “Il grande sviluppo della esperienza cooperativa, che nasce dal valore fondamentale della Solidarietà. Non pieghiamo mai la Solidarietà – ha aggiunto – alla logica del profitto finanziario, anche perché così la togliamo – potrei dire la

rubiamo – ai più deboli che ne hanno tanto bisogno”.

 

Ma c’è un ultimo aspetto che si può ricollegare alle parole del Papa e che è venuto alla ribalta in queste settimane anche nella nostra regione:  le morti sul lavoro.

E’ un fenomeno impressionante legato spesso proprio alla logica dello scarto più volte lamentata dal Papa.

Dal punto di vista economico la sicurezza sul lavoro è un puro costo che non dà  valore aggiunto al prodotto e per contro necessita di elevata specializzazione. Nella logica imperante della riduzione dei costi viene  pertanto appaltata  a ditte terze in possesso dei requisiti di legge, la cosiddetta esternalizzazione.

In tal modo diminuisce  il costo per l’azienda  ma allo stesso tempo quasi sempre aumentano i rischi di infortunio , tenuto conto della realtà dei fatti per cui non sempre risulta adeguata la qualità del lavoro delle ditte appaltatrici nonchè della carenza dei controlli pubblici.

Conseguenza di tutto ciò è l’aumento degli infortuni sul lavoro con tragiche conseguenze personali e familiari. Occorre intervenire con provvedimenti urgenti ed adeguati.

Mentre mettiamo  tanta cura per rendere sicure le case dove abitiamo, come possiamo restare indifferenti di fronte alla tragica sequenza di morti sul lavoro, purtroppo in aumento anche nella nostra regione?

Nei primi tre mesi dell’anno le vittime in Italia sono già state 180 di cui ben 14 nell’Emilia-Romagna e 2 a Bologna.

 

Dove è finito il ns. umanesimo e la ns. coscienza sociale cristiana?

“Rimbocchiamoci le maniche: c’è ancora tanto da fare! “ diceva Bersani, guardando sconsolato la carrozzella su cui ormai era bloccato.