Relazione di Gianpietro Monfardini

Casa Saraceni – Memoria di Bersani 19 dic. 2018

La cultura è sviluppo: da Bersani un pensiero per l’attualità

Ci siamo a lungo consultati sul titolo del ns. incontro, volendo esprimere in modo adeguato la poliedrica personalità di Bersani ed il nucleo essenziale del suo pensiero. Perché Bersani era uomo di grande e vasta cultura, che affondava le radici nel mondo agricolo e benestante in cui erano cresciuti i genitori, di forte tradizione cattolica, che avviarono i sette figli da un lato alla formazione religiosa in un momento di grande risveglio organizzativo e associativo della chiesa cattolica dall’altro agli studi superiori universitari.

Una famiglia che trovò in Bersani una figura di eccezionale rilievo.

In lui la curiosità culturale era sempre abbinata alla progettualità fattiva. Amava dire che un Politico non dovrebbe mai porre un problema senza indicarne la soluzione.

Una cultura che metteva al centro l’uomo, sia in forza di una fede fortemente sentita come fonte ispiratrice del bene, sia per una innata attitudine a vedere nell’altro un soggetto di diritti e di una dignità da difendere. Le due cose, fede ed umanesimo, hanno sempre costituito un unicum nella personalità di Bersani. Come ebbe a dire proprio nel celebre discorso dell’Archiginnasio d’oro, “La fede religiosa, che ci sorregge e illumina dall’alto e aiuta a leggere l’intimo senso della vita e quello ultimo della storia. E poi Il suo essenziale riverbero sulle scelte laiche da essa ispirate: la libertà vera ad ogni costo, l’amore per la verità e la conoscenza, la democrazia, il rapporto appassionato con i problemi e le speranze popolari, il servizio disinteressato a chi più ne ha bisogno”.

Un vero Umanesimo, ancorato ad una roccia indistruttibile.

UOMO DI PENSIERO (come ogni uomo di cultura) ma insieme ed imprescindibilmente un UOMO del FARE (come ogni uomo di carità).

Tutta la sua vita è permeata da questa ricerca di ciò che si può fare per ridare dignità a chi ne è stato privato o dalla sorte o dalla spietatezza degli uomini.

Ma fare cosa? Qui c’è un altro aspetto molto importante della personalità di Bersani: il bene occorre farlo BENE come lui ripeteva sempre.

Nelle sue visioni a largo raggio ed a lungo termine, l’azione di Bersani, è stata sempre ispirata non tanto al principio del soccorso ma a quello di un riscatto permanente dalle situazioni di degrado e povertà .

In questa ottica va visto l’impegno politico e sociale del primo dopoguerra (fu eletto nel Parlamento italiano nel 1948) nel mondo del lavoro, del sindacato, della cooperazione, della finanza e poi, negli anni 70’, con Bersani al Parlamento europeo, con lo sviluppo della politica di Cooperazione Internazionale che doveva portare sostegno duraturo ai paesi già oggetto di colonizzazione che in quegli anni venivano abbandonati dagli stati europei in condizioni di complessivo degrado politico ed economico.

Esemplare fu l’azione di Bersani subito dopo la guerra negli anni in cui si affacciava alla politica e c’erano da scegliere modelli organizzativi e sociali nuovi. Con i suoi amici aveva concluso che l’esperienza cooperativa fosse nell’immediato dopoguerra e nella nostra specifica realtà, un fattore essenziale per la promozione di una nuova società creativa e solidale.

La cooperazione venne individuato come un obiettivo strategico e siccome si partiva dal nulla cercarono nelle nazioni europee modelli credibili e coerenti con le loro convinzioni democratiche ed umanistiche.

Si sforzarono di conoscere in modo approfondito le esperienze cooperative dei grandi paesi occidentali (Inghilterra, Olanda, Svezia, Danimarca, Francia) e cercarono di sperimentare quelle che ritenevano utili per la nostra realtà. Nacque un movimento che ha investito gradualmente in mezzo secolo la regione E.R., il Paese ed in seguito la Comunità Europea facendo di Bologna uno dei centri maggiori della esperienza cooperativa a livello internazionale.

Bersani si spese personalmente negli anni 50’ per la costituzione nei comuni della bassa bolognese di cooperative di braccianti in fuga per l’abbandono delle terre a seguito della Riforma Agraria. Ricordo l’amico Stupazzoni quando mi raccontava delle lunghe serate in cui Bersani il venerdì di rientro da Roma convocava i braccianti nelle campagne per convincerli che unico modo per togliersi dalla loro drammatica condizione di senza terra e senza lavoro e ridare dignità alla loro vita era la costituzione di cooperative di conduzione agricola, di cui fossero direttamente soci e responsabili. Furono incontri difficili, dove le perplessità di una esperienza così nuova si aggiungevano alle ostilità di un ambiente circostante ferocemente contrario per motivi ideologici. Ma alla fine Bersani riuscì nell’intento e nacquero le cooperative bianche poi sviluppatesi ed affermatesi nel mondo agricolo. Fu a seguito di quella esperienza che B. si rese conto di quanto diventasse profonda col tempo la identificazione di chi lavorava la terra con il proprio lavoro, affidando ad essa le proprie speranze fino a considerarla come qualcosa di intimamente legato al futuro suo e della sua famiglia. Nacque così in Bersani l’idea di una legge, allora abbastanza scandalosa agli occhi degli avversari politici, che raccoglieva questa aspirazione a possedere almeno in parte la proprietà della terra lavorata e così tra mille contrasti politici in parlamento convinse De Gasperi a far approvare la legge sulla proprietà contadina dove il riscatto della terra era agevolato dallo Stato. Nell’atmosfera grandemente intimidatrice delle campagne bolognesi si ebbero attacchi ai sostenitori della legge in uno dei quali venne barbaramente ucciso Giuseppe Fanin, braccio destro ed amico profondo di Bersani.

In realtà le cose migliorarono e la legge ebbe gradualmente positivo accoglimento anche nel campo avverso.

Migliorate le cose nel 1970 Bersani si rivolse all’avventura Europea.

Egli traeva dalla propria cultura umanista e dall’orizzonte a tutto campo del suo pensiero le idee e le risorse per una strategia di sviluppo dei paesi poveri. Non c’erano muri né frontiere nella visione di Bersani. “Il Mondo è il mio villaggio”(1972) è il titolo di un suo libro quando, ultimata la emergenza del recupero dei braccianti agricoli nelle terre bolognesi, fece la scelta di avviare un analogo percorso con le popolazioni povere dell’Africa.

Illuminante è la strategia che Bersani adottò con l’Europa. Aprendo attraverso apposite leggi prima nel Parlamento italiano e poi in quello europeo la stagione della Cooperazione Internazionale allo sviluppo riuscì a costruire un rapporto permanente con i Paesi Poveri, in particolare quelli ex coloniali dell’Africa, attraverso l’ACP, associazione dei parlamentari dell’Africa, Caraibi e Pacifico che integrata da alcune decine di parlamentari europei ogni tre anni presentava una pianificazione concordata di aiuti, cui l’Europa dava regolarmente seguito, con la Conferenza di Lomè (Togo) di cui Bersani ebbe per 12 anni la Presidenza.

Anche qui un guardare lontano ed uniti per fare passi avanti duraturi e sotto controllo.

Fu proprio per dare seguito a questi programmi che Bersani diede vita nel 1972 al CEFA che tuttora opera nei paesi poveri per attuare programmi del cosiddetto auto-sviluppo, in grado cioè di arrivare a condizioni di vita dignitose e stabili con una autonoma condotta di gestione tecnica ed economica.

Sono passati 50 anni, molte realtà sono sotto i ns. occhi per una valutazione positiva dei progetti di auto-sviluppo. Tra i tanti si deve citare quello che ha vinto il primo premio alla EXPO 2015 di Milano, su 800 concorrenti da tutto il mondo, con la grande Centrale del Latte realizzata e tuttora attiva a Njombe, in Tanzania, in un territorio agricolo arretrato e in condizioni sociali di estrema povertà con intervento del CEFA ed il supporto e l’assistenza tecnica della cooperativa bolognese Granarolo.

Questa grande realizzazione ci dimostra come l’autosviluppo di Bersani non è una utopia. Ci sono molte situazioni di povertà che hanno bisogno di un solido investimento iniziale a fondo perduto per dare vita ad una attività autogestita ed economicamente autosufficiente con carattere di stabilità. Può costituire valido e conclamato esempio per interventi su vasta scala, previa esatta pianificazione delle varie fasi e delle tempistiche che portano alla indipendenza economica di un progetto.

Il CEFA, sulla base dell’esperienza di auto-sviluppo fatta a Njombe, sta già:

  • insegnando a 250 famiglie contadine in Mozambico a diventare allevatori di vacche da latte.

  • In Kenya sta insegnando a diventare apicoltori almeno 200 famiglie contadine

  • In Tanzania sta introducendo la “cultura” del sottovuoto … per conservare il mais raccolto sottovuoto eliminando l’uso di pesticidi.

COSA FARE PER GLI IMMIGRATI?

C’è da chiedersi, a fronte della crescente ostilità incontrata dagli immigrati nel ns. paese e della drammatica condizione che vivono quelle popolazioni africane già oggetto di amorevole attenzione da parte di Bersani, cosa possiamo fare in concreto per ospitare con dignità e positività più di mezzo milione di immigrati che si trovano in Italia letteralmente allo sbando.

Attorno a noi l’ambiente non è certo favorevole: schiacciati dalla paura, settori sempre più vasti della popolazione stanno chiudendosi in atteggiamenti ostili anche per la totale indifferenza per non dire ostilità della Comunità Europea al problema degli sbarchi in Italia.

Si sta assistendo tuttavia ad un aumento significativo di buoni esempi concreti di accoglienza, nelle persone ed ambienti ancora sensibili che hanno a cuore la Solidarietà ed il rispetto della Persona di qualunque razza e religione essa sia.

La Caritas locale (nelle parrocchie) e nazionale (nelle sue strutture) è fortemente impegnata nell’accoglienza dietro la spinta di Papa Francesco e di molti vescovi. Così anche molte associazioni laiche e cattoliche, come le Comunità di S.Egidio.

C’è anche il sostegno delle associazioni create e fatte sviluppare da Bersani nel mondo sociale e in particolare in quello cooperativo,c’è il pensiero economico promosso da coloro che hanno a cuore lo sviluppo integrale di ogni uomo, ci siamo infine tutti noi che stiamo male quando vediamo un fratello sofferente avviato senza speranza alla emarginazione.

Uniamo le forze e guardiamo lontano con fiducia come faceva Bersani. C’è una certa analogia tra le masse di diseredati nelle campagne bolognesi nel dopoguerra e le masse di immigrati nelle nostre città. Pensiamo anche per loro ad una possibile integrazione attraverso il lavoro, che tenga conto delle mutate condizioni politiche e sociali, sperimentiamo anche noi qualche cosa di innovativo pur di muoverci da questo terribile ristagno in cui lo stesso principio di umanità sembra che stia morendo.

Bersani ci sia di esempio e di ispirazione.

Gianpietro Monfardini